La Paura Non è Niente
La Paura Non E' Niente (ISBN: 0976837528); tradotto da Fear Ain't All That (ISBN: 0976837501) Capitoli 1-3
(La Traduzione di Eleonora Vannucchi / Lucca, Italia)
CAPITOLO UNO
“Mamma, pensi che zia Shirley abbia di nuovo cambiato pettinatura?” chiesi.
“Mio Dio, Miguel, spero proprio di no. Cambia pettinatura con la stessa frequenza con cui si cambia d’abito.”
“Mi piace che lo faccia. Mi chiedo sempre che aspetto avrà la prossima volta.”
“Beh, cerca di non essere sgarbato quando la vedi.”
“Non lo sarò, Mamma.” Mentre immaginavo mia zia con i capelli corti a spazzola arancioni e neri, notai che Mamma aveva saltato la deviazione sulla Highway 101 in direzione sud. “Mamma, avremmo dovuto proseguire per l’aeroporto.”
“Oh, lo so. Questa ci porterà lo stesso là.”
“Ma l’aeroporto è proprio fuori dalla 101.”
“Miguel, la 280 si ricollega con la 101 a San Bruno. Arriveremo in tempo. Il suo volo potrebbe persino essere un po’ in ritardo. Non ti preoccupare.”
“Mi sembra che la 280 ci porti fuori strada.”
“Ci sono troppi incidenti sulla 101. Ti ricordi quelle due persone che sono morte in quel terribile maxitamponamento la scorsa settimana? È stato orribile. La Highway 101 è troppo pericolosa. Hai allacciato la cintura? Controlla che la portiera sia bloccata.”
Mamma mi ricordava sempre di bloccare la portiera tutte le volte che ero in macchina. Diceva che se la portiera è bloccata, il corpo non viene trascinato per terra se si viene scaraventati fuori dalla macchina in un incidente. Mamma è davvero brava a pensare a cose che le altre persone dimenticano.
In un’ora circa avremmo rivisto zia Shirley per la prima volta dopo più di un anno. Zia Shirley è la sorella della mia mamma, ma loro due sono decisamente come il giorno e la notte. A volte è addirittura difficile pensare che siano imparentate. Non si assomigliano neanche. Mamma ha trentasei anni, è alta, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Zia Shirley ha ventinove anni, ha i capelli castani la maggior parte del tempo, ed è alta circa cinque piedi e tre pollici. Ma la più grande differenza in assoluto è il modo in cui vivono la loro vita.
La mia mamma diceva sempre che zia Shirley è unica e insuperabile. E io credo che sia vero. Non è solo diversa da Mamma, è diversa da qualsiasi persona abbia mai conosciuto. Zia Shirley è l’unica ad avermi sempre detto che sarei sopravvissuto.
“Bevi la tua acqua, Miguel. È una giornata calda e non devi disidratarti.”
“Mamma, per quanto tempo starà con noi zia Shirley?”
“Potrebbe essere per un po’. Lei pensa di trasferirsi a Berkeley presto, ma vedremo. Non so come le sia venuto in mente di poter comprare quella casa. Tuttavia, ammiro i suoi sforzi. Sarà divertente averla con noi.”
“Sì. Lei è fighissima.” Ma zia Shirley è molto più che figa, e il suo trasferimento nella Bay Area è qualcosa che ho sempre sognato potesse accadere. Mamma mi avvertì di non farmi prendere troppo dall’eccitazione, ma io non potevo farci niente. Era la metà di giugno, la scuola era finita ed io e zia Shirley avremmo avuto tantissimo tempo da trascorrere insieme. Non stavo nella pelle. Che cos’altro mi avrebbe insegnato? In quali altri nuovi posti mi avrebbe portato? Mi avrebbe ricordato di tutti quei suoi modi per farmi stare bene? Speravo che fosse così.
Zia Shirley diceva che Boston è come la versione sulla costa est di San Francisco, ma San Francisco è ancora meglio. Ero contento che lo pensasse, così in quel modo non se ne sarebbe più voluta tornare a Boston, dal momento che sono quasi uguali. In più, non credo che Boston abbia niente di tanto divertente, come l’Exploratorium o la riproduzione della baia in miniatura con la macchina che crea le onde.
“Quanto ci vuole per prendere una laurea del dottore? chiesi a Mamma.
“Un dottorato. Le ci vogliono un paio di anni per finire. Shirley è molto orientata alla realizzazione dei suoi obiettivi. Non riesco ad immaginare che possa impiegare più tempo di quanto è richiesto. Hai portato il tuo cappellino?” chiese Mamma mentre ci avvicinavamo al parcheggio temporaneo dell’aeroporto.
“Sì, Mamma,” dissi mentre mi mettevo il cappellino dei Giants. Lo facevo principalmente per coprire il bendaggio che devo portare sul viso. La mia pelle deve essere protetta costantemente perché questa è la mia malattia, una malattia della pelle. È chiamata Epidermolysis Bullosa, e significa che la pelle si copre di vesciche. Penso che Epidermolysis e Bullosa siano parole latine, ma è così che si chiama la malattia anche in America. Il tipo esatto di malattia che ho io è chiamato Epidermolysis Bullosa recessiva distrofica, e per mia sfortuna, è il peggiore. La cosa più importante dell’E.B. è che devo fare sempre molta attenzione, e per via della mia mamma, ho imparato ad essere super prudente in qualsiasi cosa faccio. Mamma è totalmente protettiva nei miei confronti perché mi vuole tanto bene. E anch’io le voglio bene.
Trovammo un posto libero per parcheggiare la macchina e ci ritrovammo con un sacco di tempo a disposizione, persino dopo aver preso l’autostrada sbagliata. Prima di uscire, Mamma, come al solito, guardò nello specchietto della macchina per darsi una sistemata al viso. Tanto per cominciare non sembrava mai trasandata, ma era sua abitudine aggiustarsi un po’ per sicurezza. Una cosa che faceva sempre era pettinare le sopracciglia all’insù, perché era quello che aveva visto fare una volta a Cindy Crawford in uno spettacolo di moda a Fort Mason. Poi arruffava i capelli, e il modo in cui lo faceva sembrava renderli ancora più scompigliati. In pratica era come se facesse l’opposto di pettinarli. “Ti apro la porta,” disse.
“No. Posso farlo da solo. Lasciamelo fare.” A volte faticavo un po’, ma mi faceva sentire bene essere capace di aprire la maniglia della portiera, anche se non ho quasi più le dita delle mani. “Ce la faccio, lasciami,” dissi a Mamma. Non mi piaceva che mi guardasse mentre lo facevo a modo mio perché mi rendeva davvero nervoso. La nostra macchina ha una sorta di gancio dove devi infilare le dita per aprire la portiera. Quello che facevo io era tenere le mani premute tra loro stringendo una penna. Poi, la maggior parte delle volte, riuscivo a spingere il gancio verso di me ed aprivo la portiera. “Aspetta, ce la faccio.” Questa volta ci stavo impiegando molto più tempo. Mamma mi fissava ed aspettava. Si guardava intorno per vedere se altre persone ci stessero osservando. Questo mi rendeva ancora più nervoso.
Provai un sacco di volte, ma o la penna mi scivolava o era troppo fine per riuscire ad afferrare il gancio. Non riuscivo a farlo.
Guardai Mamma e senza dire niente lei aprì la portiera dall’esterno ed io uscii. Quando aprì, capii dal suo sguardo che le dispiaceva per me. Ma io speravo che fosse felice per me, per il fatto di averci almeno provato da solo. Non appena iniziammo a camminare verso il terminal lei disse, “Perché non mi guidi tu fino al cancello. Sei molto più bravo di me a capire tutti quei monitor.” Non accadeva molto spesso, ma mi piaceva tanto quando Mamma credeva in me e in ciò che potevo fare.
Ad essere onesto, c’erano molti schermi e sembravano tutti uguali.
Su tutti c’era scritto Arrivi, ma io volevo far vedere a Mamma che sapevo cosa stavo facendo. Volevo sembrare strasicuro anche se non lo ero affatto. Alcuni voli erano segnalati in rosso, altri in blu ed altri ancora in verde. Era molto carino il modo in cui l’avevano fatto, ma che significavano tutti quei colori? Non capivo. Poi vidi la parola Boston, e capii che quello doveva essere il volo di zia Shirley. Proprio accanto al numero del volo c’era la parola “RITARDO” scritta in neretto e a grandi lettere. “Mamma, è in ritardo. Che ore sono adesso?”
“Sono quasi le due e trenta.”
“Bene, qua dice che il volo non arriverà prima delle quattro e ventitré.” Ciò significava che dovevamo trattenerci in aeroporto per altre due ore. E, gironzolare ovunque voleva dire che molte più persone mi avrebbero fissato. Zia Shirley mi aveva sempre detto che la gente guardava perché era curiosa, tutto qui. Qualora non avessi avuto voglia di dar loro spiegazioni, avrei detto “La Mummia è il mio film preferito, e sto provando il costume prima di Halloween.” Tuttavia non mi ero mai espresso così di fronte a Mamma. Avrebbe dato in escandescenza. Proprio perché devo portare le bende su tutto il corpo la maggior parte del tempo, non le piaceva che mi definissi una mummia. Neanche per scherzo. “Quelle bende ti proteggono la pelle. Ti tengono in buona salute. E non c’è niente di divertente in questo,” mi aveva sempre spiegato.
Non sembrando troppo scoraggiata all’idea di dover aspettare più di quanto pensava, Mamma mi portò in un negozio di regali lì vicino. Trovare riviste da leggere è qualcosa che piace fare ad entrambi. Nel negozio i commessi erano troppo occupati a cercare ciò che avrebbero venduto, ma la ragazza al bancone fu la prima a fissarmi. Era come se fossi appena arrivato all’aeroporto con un volo proveniente da un altro pianeta. Era solo la mia immaginazione? Era questo ciò che lei stava pensando? Oppure stava pensando, “Quel ragazzo ha l’E.B.? Mi chiedo come deve essere?”
Poi un uomo d’affari pagò un Milky Way e la ragazza smise di guardare. E così feci io non appena vidi una rivista di People con Britney Spears in copertina. Mi piace tanto, ma non quanto Christina Aguilera o Ricky Martin. Ho sempre sognato di andare ad uno dei loro concerti. L’ultima volta che vidi zia Shirley me lo fece persino mettere sulla mia lista delle Cose da Fare. È una lista che lei ha creato apposta per me perché ci scrivessi sopra tutti i giorni. Mi aveva detto che finché avessi avuto delle cose da fare, sarei riuscito a vivere più a lungo. “Sono solo le persone che si dimenticano di tutte le cose che devono o vogliono fare che muoiono presto,” aveva spiegato zia Shirley.
Caspita. Mi chiedevo se si sarebbe incavolata con me per non aver più scritto nella mia lista ultimamente. E molte delle cose che avevo già scritto non le avevo ancora fatte. Mi avrebbe chiesto qualcosa a riguardo? Probabilmente. Accidenti. Mi aveva anche detto che tutte le volte che dovevo andare all’ospedale per le cure era perché la mia lista non era abbastanza piena. “Quando il tuo cervello smette di lavorare il tuo corpo prende il sopravvento,” mi aveva sempre detto.
Alla fine Mamma ed io uscimmo dal negozio senza aver comprato niente. Non potemmo andare diretti all’uscita del volo perché non avevamo il biglietto, così aspettammo in un ristorante. Era un posto dove facevano i granchi. Immagino che per lo più solo i turisti andassero là, perché quello è il genere di locale in cui pensano che la gente di San Francisco mangi sempre granchi e Rice-a-Roni. Finché potevo mangiare Jell-O, o formaggio, o qualcosa di soffice ero a posto.
Ci sedemmo proprio accanto alla finestra, e sia io che Mamma eravamo molto tranquilli. Io guardavo fuori tutti quegli aeroplani diversi. “Mamma, com’è che quella compagnia aerea si chiama Virgin?”
Mamma mi guardò sorpresa, e le ci volle un’enormità di tempo per rispondermi. “Miguel, non sono sicura. Perché è di proprietà dello stesso uomo che possiede anche il Superstore della Virgin a Market Street. Voleva che i nomi corrispondessero.”
Quella risposta non era affatto sufficiente per me. Sapevo cos’era una vergine, ma quella risposta non era logica e non aveva un granché senso. Perché? Pazienza, “Possiamo andare in qualche posto diverso questa volta in vacanza?”
“Dove? Dove vorresti andare?”
“Non lo so. Che ne dici dell’Africa? Così possiamo vedere da vicino tutti quegli animali che sono solo negli zoo.”
“Oh, Miguel. Non sono molto convinta dell’Africa. Penso che potrebbe essere troppo pericoloso. Lo sai che quasi venticinque milioni di persone sono morte di AIDS là? Solo nella parte centrale e nel sud del paese.”
“Ma questo non vuol dire che noi prenderemo l’AIDS andandoci in vacanza.”
“Che cosa ne dici di pensare a qualcos’altro? Sono sicura che ci sono molti luoghi più incantevoli che sono molto meno rischiosi da visitare.”
“Beh, che cosa ne pensi del Perù? Per vedere quelle fighissime piramidi Inca che si trovano così in alto sulle montagne?”
“Non credo che anche questa sia una buona idea. Il Sud America sembra predisposto a terremoti su vasta scala. Chi ci dice che non ne capiterà un altro nel momento esatto in cui ci troviamo là.”
Dopo che Mamma ebbe esordito così, le dissi che avrei pensato a qualche altro posto, ma non lo feci. Immaginavo che qualsiasi luogo avessi suggerito Mamma avrebbe trovato un’altra scusa per non andarci. Mi limitai a guardare gli aeroplani fuori dalla finestra senza pensare troppo. Poi mi ricordai quello che zia Shirley continuava sempre a dirmi sulla parola che comincia con la p-. Diceva che era la parola più oscena che fosse mai stata inventata, la parola in assoluto più brutta del nostro vocabolario. Diceva che Dio non l’aveva creata, ma che lo aveva fatto la gente, e che non sarebbe mai dovuta esistere.
Tuttavia, c’era un’altra parola che iniziava con la f- che Dio aveva inventato, si chiamava fede. È l’opposto dell’altra. Zia Shirley mi diceva che non sarei mai stato meglio, mai, fino a quando non mi fossi liberato della prima parola che comincia con la p-, la paura. “È un’assassina,” mi diceva sempre.
Dopo essermi ricordato quello che zia Shirley mi aveva insegnato sulla parola con la p- e quella con la f-, guardai Mamma. Sembrava che avesse sempre, sempre paura di qualcosa. “A che cosa pensi, Mamma?” chiesi.
“A Shirley. Sarà così delusa quando non avrà la casa. Dovremo pensare a qualcosa di divertente da fare per tirarle su il morale.”
“Come fai ad essere sicura che non riuscirà ad averla?”
“Non l’avrà e basta. Non avrà mai i requisiti perché gli venga concesso un prestito. Devi avere molti soldi in banca per comprare una casa di questi tempi. Specialmente nella Bay Area.”
*****
Quando vidi zia Shirley camminare verso di noi non potevo crederci. Sembrava la stessa di sempre, ad eccezione della sua nuova pettinatura. Questa volta era rossa, ed era come se si fosse dimenticata di sistemarsi i capelli dopo essersi addormentata sul cuscino dell’aereo. Metà della sua camicetta era infilata nei pantaloni, l’altra no. Notai lei per prima. “Mamma, eccola. Ehi, zia Shirley! Di qua!”
“Non così forte, Miguel. Ci vede.”
“Zia Shirley iniziò a correre nella nostra direzione. Era più eccitata di noi. Per poco non gettò a terra un uomo nella sua corsa per raggiungerci, ma non sembrò curarsene. E una delle borse di carta che portava le cadde, si strappò, e alcuni dei suoi abiti si sparsero sul pavimento. “Merda,” gridò. Ma presto fu di fronte a noi. Mi abbracciò subito, e fu così bello.
“Non troppo forte, Shirley.”
“Ehi, Sharon. Non iniziare. Lascia stare.” Poi zia Shirley abbracciò Mamma davvero, davvero forte. Nessun altro aveva mai abbracciato Mamma così. Mi chiedevo se a Mamma piacesse tanto quanto era piaciuto a me. Mamma e zia Shirley si vogliono molto bene. Sono un po’ come eravamo io e mio fratello Jorge prima che morisse. Un po’ come gemelle, ma non gemelle per davvero.
“Non posso credere di essere qui. Non posso credere che vivo qui adesso. È così fantastico vedervi tutti e due,” disse zia Shirley.
“Indovina un po’, zia Shirely? È Mamma che ha guidato fino a qui. Non abbiamo dovuto prendere una limousine.”
“Ma piantala! Beh, buon per te, ragazza. ”
“Non è una gran cosa. Smetti,” disse Mamma.
“Certo che lo è, Sharon. Piccoli passi. Ecco che cosa sono…piccoli passi.” Zia Shirley stava parlando di Mamma e delle sue paure, e di come avesse finalmente bisogno di liberarsene. Sapevo che ero il prossimo. Stava per chiedermi come stavo? Di solito questa era sempre la prima cosa che voleva sapere, se non mi ero ancora liberato delle mie paure. “E allora, Signorino Miguelito, come va? Come procede la tua lista delle Cose da Fare?” Sapevo che me lo avrebbe chiesto. “Te lo ricordi di dire ‘io farò’ invece di ‘io voglio’? Sei l’unico che può far accadere le cose…non qualche altro sfigato. Non te lo dimenticare, ragazzino.”
“Beh, a volte,” dissi, con una vocina debole.
“Uh, ho il presentimento che a volte significhi mai,” zia Shirley aveva uno sguardo impaziente e determinato sul suo viso. Si voltò a destra verso Mamma e disse, “Andiamo, sorellina. Vedo che c’è da fare un po’ di lavoro qui.”
“Andammo più veloce del solito a prendere le valige di zia Shirley, corremmo verso la macchina, lasciammo l’aeroporto e ci dirigemmo verso casa. Mamma ed io non ce la sentivamo di interrompere zia Shirley che non smise mai di parlare, ma non ne eravamo dispiaciuti. Eravamo felici che fosse con noi. Avevo la sensazione che questa volta la visita di zia Shirley fosse in qualche modo più importante delle altre. Nonostante ciò, non avevo idea che avrei imparato da lei qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
CAPITOLO DUE
La mia mamma mi disse che Yoko Ono viveva nel nostro edificio, all’ultimo piano. Deve essere un personaggio famoso, ma in realtà non so perché. La vidi una volta in ascensore senza i suoi occhiali e mi piacque il fatto che non mi guardò nel modo in cui la maggior parte della gente faceva.
Per me il nostro appartamento era il più figo. La cosa più bella erano tutti quei posti fantastici che si vedevano dalle finestre. Ogni giorno cercavo qualcosa di nuovo, qualcosa che non avevo mai visto prima. Stare davanti a ciascuna finestra mi faceva sentire come se fossi in un altro mondo. Alcuni luoghi erano il frutto della mappa che mi ero creato nella mia testa, altri erano veri. Tra quelli che esistevano per davvero, il Campanile al di là della baia all'Università della California a Berkeley era il mio preferito. Lo guardavo sempre da quando avevo scoperto che zia Shirley sarebbe andata là.
Tutte le volte che volevo sentirmi bene tiravo fuori il binocolo dalla sua custodia e lo puntavo verso la Est Bay. Ci voleva un po’, ma quando la mettevo a fuoco potevo vedere i massicci mattoni grigi con il quali era costruito il Campanile. Desideravo sempre di poterne ascoltare il suono delle campane, ma questo è chiedere troppo ad un binocolo. In quel modo avrei saputo quando era l’ora di andare a lezione. Pensavo che forse un giorno o l’altro sarei andato là, sarei diventato davvero bravo e avrei scoperto una cura per l’E.B. Allora questo mi avrebbe reso davvero famoso e la gente avrebbe parlato molto bene di me. Ma, ancora meglio, in quel modo mi sarei mantenuto in vita, invece di aspettare che qualcun altro lo facesse per me.
Dopo l’alto edificio del Campanile la cosa che preferivo guardare dalla mia finestra era il ponte del Golden Gate. Che poi non è d’oro per davvero. Sarebbe troppo costoso e la gente cercherebbe di rubarne dei pezzi. Il suo vero colore è un rosso brunastro e non è nemmeno lucido. Sono così contento che i terroristi non lo abbiano bombardato come si pensava. Sarebbe stato un vero disastro. In più, come sarei potuto andare a Sausalito? A volte sentivo persone che chiamavano il Golden Gate “Ingresso dell’Ovest.” Ma non ho mai pensato che fosse così perché la maggior parte della gente arriva dall’aeroporto.
Khadijah disse che era di New York, ma il suo nome è egiziano. Lei è la mia nuova infermiera personale, e l’ho appena conosciuta, Khadijah Parker. Non appena ebbe finito di parlare con Mamma in cucina, tornò nella mia stanza da sola e disse, “Sembra che tutti e due abbiamo dei nomi che nessuno riesce a pronunciare.”
“Lo so. Vuoi dire che la mia mamma non ha saputo dire correttamente il tuo nome?” chiesi.
“No. No in verità, Mig-hiul-ito.”
“Sai una cosa? Non va ancora bene. Perché non dici semplicemente Mikey. Mikey è la versione inglese di Miguelito.”
“Sei sicuro?”
“Sì. Lo sbagliano sempre tutti. La gente non sembra riuscire a pronunciarlo bene. Ma non m’importa, Khadijah. Di’ solo Mikey.”
“OK. Se ti va bene.
Ci guardammo l’un l’altra nello stesso momento senza sapere che cos’altro dire, allora io presi la palla al balzo e domandai, “Così sai molte cose sull’E.B.?”
“Beh, sì. Non ho mai lavorato con nessuno che avesse l’E.B., ma ho avuto una buonissima preparazione. So che è una malattia ereditaria. Avrai bisogno di cure giornaliere e tua madre mi ha detto che dovrò fasciarti tutte le mattine.”
“Giusto. Sai che cosa dico che è l’E.B. alle persone che non conosco? Il modo più facile per farglielo capire?”
“Cosa?”
“Gli dico, ‘Lo sapevate che c’è una specie di colla che tiene insieme tutti gli strati della pelle? Bene, io non ce l’ho. Il mio corpo non la produce. Ecco perché devo stare sempre particolarmente attento. E lo stesso per i miei organi interni. Posso mangiare solo certe cose. No patatine fritte, no biscotti. Sarebbe come tagliare la parte interna del mio stomaco con lamette per rasoio.’ Dopo avergli detto tutto questo si disgustano e non mi chiedono nient’altro.”
A Khadijah piacque la mia storia. Non so se si innervosì per quello che avevo appena detto, ma andò alla finestra grande in camera mia ad osservare attentamente la baia. “Wow, devi avere la vista più bella di tutto l’edificio. È incredibile. Cavoli, da qui puoi vedere tutta l’Est Bay. È dove vivo io.”
“Dove?”
“Berkeley.”
“Stai scherzando? Wow, è fantastico. Sai cosa? Non sei riuscita ad incontrare mia zia Shirley perché è appena andata a fare una corsa al Crissy Field. Ma si trasferirà là molto presto, a Berkeley. E andrà anche a scuola là. Vai a scuola a Berkeley? O ci vivi soltanto?”
“Sì, vado alla Cal. Sono nel loro programma di danza. Voglio diventare una ballerina professionista prima o poi. Che cosa studia tua zia?”
“Recitazione. Cioè, quel tipo di recitazione che non è proprio recitazione.” Non mi venne subito in mente la parola giusta, poi mi ricordai. “Arte drammatica, ma non la parte di recitazione. Sta prendendo la laurea del dottore là. Sai, quel tipo di dottore che non è quello dell’ospedale. Lei vuole scrivere lavori teatrali, ma non recitarli.”
“Sul serio? Non ci posso credere. Il programma di danza fa parte della scuola di teatro.”
“Bene, sarà di nuovo a casa tra circa un’ora. La conoscerai. Però ti avverto, sarà molto sudata. Ma è fighissima.”
“Oh, sicuro. Non vedo l’ora.”
Avere Khadijah come infermiera personale mi faceva sentire come se qualcosa di speciale stesse per accadere, soprattutto perché avevo scoperto che era in qualche modo collegata alla persona che preferisco, zia Shirley. Forse sarebbero diventate amiche. Forse saremmo potuti essere tutti amici. Avrei dovuto sapere sin dall’inizio che Khadijah era una ballerina. I suoi capelli neri e ricci erano grossi, e anche il suo petto. Sarebbe stata perfetta in un video di MTV. Non i video delle Destiny’s Child o di TLC, ma più quelli di Janet Jackson. E assomiglia davvero a Janet Jackson, anche se il suo nasino è più simile a quello di LaToya o di Michael.
Di punto in bianco nessuno disse più nulla. Khadijah stava ancora in piedi davanti alla finestra che dava sulla baia e tutto era di nuovo così tranquillo. Poi non appena lei si girò per guardare le fotografie nel mio tavolo speciale di vetro vicino al letto, chiese, “Chi è questo?”
Fui colto alla sprovvista e tutto ad un tratto non avevo voglia di parlare di cose personali. Ma lei me lo chiese di nuovo. “Un tuo amico?”
“Um, era…cioè, era mio fratello,” risposi.
“Oh, tua madre non mi ha detto che hai un fratello. Dov’è? Vive con tuo padre?”
“Beh, no. Um, è morto. Anche Jorge aveva l’E.B.”
“Oh, accidenti. Mi dispiace, Mikey.” Sembrava del tutto imbarazzata per avermi chiesto di Jorge nella fotografia.
“Va tutto bene. Mi piace tenere lì quella foto, così posso guardarla spesso. Me lo voglio ricordare tutti i giorni. Probabilmente gli sarebbe piaciuto che hai chiesto di lui, anche se non sa chi sei. Sicuramente penserebbe che sei carina, sai, perché sembri un’attrice.”
“Un’attrice? Oh, mio Dio. Beh, allora mi sento lusingata. Anche lui è molto carino.”
“Oh, a lui piacerebbe davvero sentirtelo dire. Jorge non ha mai avuto la possibilità di avere una fidanzata. L’avrebbe probabilmente avuta se fosse vissuto più a lungo. Mi manca molto. Era il mio migliore amico. Era anche intelligente, mi ha insegnato un sacco di cose importanti.”
“È fantastico che sia stato capace di farlo…di essere tuo fratello e il tuo insegnante.”
“Sì, lo è stato davvero. So che non ti conosco bene, ma ti faccio vedere quanto era intelligente. Mi ha dato qualcosa di veramente speciale poco prima di morire. È una cosa privata. La tengo sotto il materasso così non si stropiccerà mai.” Con tutta la forza che avevo mi allungai per prenderla, ma era più in fondo di quanto pensassi. “Puoi aiutarmi? Potresti alzare questo angolo, così ci arrivo.”
“Certo. Non c’è problema.”
“Nel caso tu non lo sapessi le mie mani le chiamano ‘chiuse’. La pelle è cresciuta sopra le dita, così è come se non ci fossero più. L’unico momento in cui non è per niente divertente è quando devo usare la tastiera del mio computer. Ma l’ho superato.”
“Che cosa state facendo voi due?” intervenne mia madre, mentre ci osservava sulla porta.
Khadijah iniziò a rispondere. “Mikey stava per–”
“Stavamo solo mettendo a posto il materasso. È bene farlo una volta ogni tanto, così non si consuma nei punti sbagliati,” risposi velocemente, lasciando quello che stavo cercando di afferrare.
“Bene, è davvero utile da parte vostra. Come vanno le cose? Miguel ti sta informando su tutto quello che devi sapere?”
“Sì, signora. È stato molto bravo.”
“Sì. Penso che Miguel conosca l’E.B. molto meglio di medici esperti.”
“Mamma, indovina un po’? Khadijah va a Berkeley, proprio come zia Shirley. E, non solo quello, sono nello stesso compartimento.”
“Di-partimento. Davvero?”
“Sì, fa lo stesso. Puoi crederci?”
“Bene, è davvero una coincidenza. Non è vero? Disse mia madre, guardando un po’ scioccata.
“Khadijah, quando incontrerai zia Shirley ti dirà che non è una coincidenza. Lei dirà che esiste una ragione perché voi due siete nello stesso dipartimento. Zia Shirley dice che c’è una ragione per tutto.
“Miguel, non confondere Khadijah con zia Shirley. La conoscerai presto. So che andrete d’accordo. Forse potrai aiutarla. Inizierà là questo autunno.
“Oh, certo. Non vedo l’ora di incontrarla,” disse Khadijah.
*****
Mentre Khadijah ed io stavamo preparando dei panini al tonno in cucina, zia Shirley buttò quasi giù la porta principale dalla forza con cui bussò. Mamma era andata a Union Square a fare spese, e non sarebbe tornata che nel tardo pomeriggio. “Oh mio Dio. Queste colline sono delle assassine. Caspita!” gridò zia Shirley mentre apriva la porta d’ingresso dopo aver realizzato che aveva la sua chiave.
Corsi nel soggiorno e la salutai immediatamente, “Ehi, zia Shirley, indovina un po’? Vieni qui, Khadijah.” Khadijah si fece avanti ed io le presentai.
“Hai corso fino a Nob Hill?” chiese Khadijah.
“Puoi scommetterci. Prima ho corso da qui giù per Jones Street, attraverso Forth Mason fino a Crissy Field, poi fino al ponte, e poi sono tornata indietro. Ma ti dico una cosa, non c’è niente di meglio di una bella sfida come prima cosa da fare la mattina. Rende il resto della giornata una passeggiata. Anche se ti lascia un po’ senza fiato…correre in salita.”
“Zia Shirley, Khadijah è nel dipartimento di teatro a Berkeley. Cioè, nel dipartimento di danza, sono la stessa cosa.”
“Ma dai. Bene allora, andiamo. Svuota il sacco.”
“Che vuoi dire?”
“Eravamo destinate a dirci qualcosa, o imparare qualcosa l’una dall’altra. O forse questo incontro ha a che fare con questo ragazzino qui. Credo che lo scopriremo prima o poi.”
“Sapevo che zia Shirley avrebbe detto che erano destinate ad incontrarsi. Subito Khadijah sembrò confusa e come impaurita. Ma tutti e tre finimmo per passare il tempo insieme, fino a che non fu il momento per Khadijah di tornare a casa nella East Bay. Lei sembrava davvero perfetta ed io ero contento che fosse la mia nuova infermiera. Le classi che frequentava quell’estate erano ad orari diversi da quelli in cui doveva prendersi cura di me in città, così tutto era comodo.
*****
Il tempo fuori era davvero assolato, ma non faceva troppo caldo. Era perfetto. Era come se ci trovassimo in mezzo a due stagioni. Non pioveva più, ma era appena prima della nebbia estiva. E molto prima del tempo che preannuncia terremoti, come accade durante le estati indiane. Forse il bel tempo aveva reso Mamma strafelice, perché quando tornò a casa non faceva altro che sorridere. Era davvero felice di vedere lì zia Shirley. Mamma sembrava soddisfatta. Vederla così contenta mi faceva sentire nello stesso modo.
“Shirley, c’è modo per te di rimanere qui con noi mentre frequenti le tue lezioni? Sei più che benvenuta a rimanere quanto vuoi.”
“Sì. In questo modo potresti prendere la BART per arrivarci. Non c’è problema,” dissi.
“BART? Che cosa…? È la tua T?” chiese lei.
“Si. È come la T.”
Non sapevo assolutamente che cosa fosse la T. Una parolaccia che dovevano sillabare invece che pronunciarla a voce alta? Fa lo stesso. Non volevo fare la parte dello stupido, così chiesi semplicemente, “Lo farai, zia Shirley?”
“Di che parlate, ragazzi? Sapete che comprerò quella casa in collina. Il deposito a garanzia si concluderà tra circa due settimane. Non vedo l’ora che voi due passiate tanto tempo là con me.”
Mamma si voltò verso di me con aria molto scettica, come quando ci sono in TV quelle trasmissioni dei medium e Mamma dice sempre, “Non posso pensare che la gente creda in queste sciocchezze.”
“Allora ti trasferirai per davvero là?” domandai.
“Oh, sì. Assolutamente. Non vedo l’ora. Sarà il mio rifugio privato.”
“Bene, che mi dici del finanziamento? Non è ancora arrivato?” chiese Mamma.
“No.”
“Qual’è il tuo punteggio di credito? Quan’tè l’acconto? Hai i soldi necessari?”
“No.”
“Qualcuno ti ha detto che potrai avere un finanziamento? Un agente ipotecario?”
“Non ancora.”
“Allora non capisco. Perché non decidi semplicemente di rimanere qui con noi fino a che non sei in grado di–”
“Oh. Grazie. Ma comprerò quella casa. Mi sono impegnata molto affinché accadesse, ed accadrà.”
“Che cos’è esattamente che ti fa pensare che puoi?”
“Perché io ci credo.”
“Tu credi che cosa?”
“Io credo di poterlo far accadere. Avendo fiducia si realizzerà…si realizzerà. Credo che il finanziamento arriverà proprio quando deve arrivare. Non c’è ragione perché creda che non mi trasferirò in quella casa. Nessuna. Comunque sia non ho paura. E che cosa ho invece, gente? Ho una totale fiducia che tutto si realizzerà.”
“Oh, mio Dio. Paura. ‘Non avere paura.’ Questo è il tuo adorato credo.”
*****
Come al solito Mamma e la zia parlavano di nuovo di quell’argomento che veniva sempre fuori, paura contro fede, così andai in camera mia a controllare l’e-mail. Quando fui là non ero sicuro se avessero finito oppure no, perché non riuscivo a sentire niente. Avevano avuto questa conversazione circa un milione di volte ed io mi ero davvero stancato di ascoltarla. Era quell’argomento che di solito infiammava la zia, sai, la faceva arrabbiare.
Non appena ebbi cancellato l’ultimo messaggio pubblicitario porno, zia Shirley venne alla mia scrivania. Sembrava davvero calma, ma era come se si stesse sforzando di avere quell’espressione sul volto. Non sembrava per niente naturale. Disse, “Miguelito, ho deciso che è meglio per me stare nella East Bay fino a che la mia casa non è pronta.”
“Perché? Non ti piace qui? È per causa mia?”
“Certo che no. Ti voglio bene. Questo non ha niente a che vedere con te. È solo che è meglio così.”
“Allora è per colpa di Mamma. È per via del litigio che avete appena avuto.”
“No. Non stavamo litigando. È solo che siamo completamente diverse. Voglio molto bene a tua madre. È mia sorella. Farei di tutto per lei.”
“Allora non capisco proprio. Se rimani qui con noi non dovrai pagare niente.”
“Devo andare. Non è…proprio bene per me stare qui. Devo proteggere me stessa.”
“Dall’E.B.? Lo sai che non è contagiosa, non è vero?”
“Lo so, sciocchino. Te l’ho detto. Questo non ha niente a che vedere con te. Ti amo più di ogni altra cosa, e mi verrai a trovare spesso a Berkeley. Ci divertiremo da morire. Mettitelo in testa, ragazzino.”
“OK. Si, va bene.”
Poi gli occhi di zia Shirley provarono a dirmi qualcosa, ed io dovetti chiedermi che cosa, fino a quando non mi disse, “Un giorno saprai esattamente perché me ne sono dovuta andare. So che sarà tutto così chiaro per te, vedrai. E quando lo sarà, tutta la tua vita cambierà. Un giorno.”
Anche se zia Shirley mi disse che un giorno avrei saputo, io lo sapevo già. Nel momento in cui lei uscì dalla mia camera tutto quello a cui riuscii a pensare fu qualcosa che avevo sentito un paio di mesi prima. “Devi distruggere tutte le paure che hai imparato…,” aveva detto ad alta voce zia Shirley. Poi i suoi occhi avevano aggiunto, “…altrimenti non sopravviverai.”
CAPITOLO TRE
“Aspetta un minuto. Come hai detto?” chiese il nuovo fidanzato di mamma. Il suo nome è Hunt Manly e assomiglia un po’ a quegli attori di L.A. Non sapevo se lo era per davvero oppure no, ma mi comportavo come se lo fosse perché era l’amico di Mamma.
“Sono Mii-ghel-iii-too. Oppure puoi chiamarmi Mii-ghel.”
“Miii-gul-iii-noo.”
“No. Non va ancora bene. Ma non importa. Di’ solo Mikey. È figo.”
“Mi rendevo conto che ce la metteva tutta. Quindi, va bene lo stesso. Era la prima volta che incontravo questo tipo con cui mamma usciva. Stavano insieme già da due o tre mesi, ma per qualche ragione non lo avevo mai incontrato prima. Mamma voleva che quella serata fosse speciale, così il suo fidanzato decise che saremmo andati tutti a cena al Fairmont Hotel. È solo ad un isolato dal nostro appartamento, proprio al di là di Huntington Park. Mamma si stava ancora preparando nella sua stanza, così Hunt ed io rimanemmo da soli in soggiorno a parlare.
Sembrava una sorta di attore perché aveva il gel nei capelli. La gente di San Francisco non lo fa. E fu proprio per via del suo aspetto che immaginai che il suo nome derivasse da questo. “È vero il suo nome?” chiesi.
“È vero? Certo.”
“Volevo solo dirle che suona come un nome inventato. Senza offesa. Sa, come uno di The Young & The Restless.”
“Capisco. L’ho già sentito. E immagino che si potrebbe dire che Mi-gueliii-no suona come il nome di qualche villaggio Maja nello Yucatan,” affermò rivolgendomi uno sguardo serio. All’inizio stavo per chiedere scusa perché non volevo insultarlo, ma poi, dopo quello che disse, non me ne preoccupai.
“Quanto ti manca ancora, Sharon?” il tipo gridò in direzione della stanza di Mamma.
“Sono quasi pronta, Hunt. Ancora due minuti.”
Il fidanzato ed io non dicemmo niente durante quei due minuti, che si trasformarono in dieci. Poi, proprio per cercare di essere amichevole, aggiunsi, “Lei sa probabilmente che hanno girato Hotel al Fairmont. È un programma televisivo davvero figo perché fanno vedere così tante cose della città. A parte il fatto che quando lo hanno realizzato io non ero ancora nato. Ma almeno adesso lo posso vedere su SoapNet.”
“Beh, in realtà non l’hanno girato là. Sono sicuro che hanno ripreso le esterne e qualche cosa della seconda troupe.”
“Oh, sì. Giusto.” Non sapevo che cosa volesse dire. Non sapevo neanche che la gente in TV fosse in troupe. “Ma ci sono state molte altre cose che hanno girato qui in città. Le capita di trovarsi con molti attori famosi?”
“In realtà io non arrivo a conoscerli. Loro lavorano per me. Io sono il loro capo. Sono un produttore. Sharon, pensi di poterti velocizzare un po’?”
Mamma uscì fuori dalla stanza e da quel momento in poi il suo fidanzato non ascoltò più quasi niente di quello che avevo da dire. Era completamente concentrato sulla Mamma. E Mamma era completamente concentrata su di lui. Quando lasciammo il nostro palazzo, lui e Mamma si misero a camminare davanti a me ed io dietro. Il fidanzato le lanciò uno sguardo strano non appena passarono accanto ad uno dei soliti barboni nel parco. “Ehi, Charlie. Come va?” dissi passandogli accanto.
“Sei fuori dai guai, giovanotto?” chiese Charlie.
Io feci cenno di sì con la testa, e praticamente non aggiunsi altro, perché non volevo che il fidanzato di mamma mi desse la stessa strana occhiata che aveva dato a Charlie.
*****
“Mamma, posso prendere i dim sum? Dovrebbero andar BENE, no?” Di solito non potevo mangiare quello che mangiano tutti gli altri, ma pensavo che i dim sum fossero perfetti. Non sono piccanti. Non sono aspri. Si digeriscono bene. Semplicemente perfetti.
“Dovrebbero. Assicurati solo di non intingerli nella salsa,” rispose lei.
Eravamo in un ristorante a Fairmont dove non ero mai stato prima, il Tonga Room. Era davvero figo, ma io non riuscivo a capire perché era fatto in quel modo. Quel posto rassomigliava a Gilligan’s Island ma senza Gilligan, Ginger, Mr. Howell, o chiunque altro della programma. E poi c’erano un sacco di suoni strani. “Com’è che in questo posto ci sono così tanti suoni strani?”
“Atmosfera. Acquazzoni ed uragani sono comuni in Polynesia,” disse il tipo. Rispose alla mia domanda senza nemmeno guardarmi. Stava fissando il suo menu quando si rivolse a me. Immagino pensasse che dovevo essere invisibile.
“Comunque penso che qui sia tutto davvero strafigo. Non ho mai visto prima delle palme da esterno al chiuso, e anche quello stagno. Wow. Spero che non ci siano uccelli su quegli alberi lassù, altrimenti ci ritroveremo con la loro cacca nella cena.”
“Miguel, per favore. È disgustoso,” disse Mamma.
Dissi quella cosa sulla cacca degli uccelli principalmente per vedere se qualcuno mi stava davvero ascoltando.
Quando arrivò la cena, tutto il cibo odorava di ananas. Gnam gnam. Io mangiai e lasciai Mamma e il suo fidanzato a fare conversazione.
“E allora, quando torni di nuovo giù? Ci sono un sacco di ristoranti che non abbiamo ancora provato. E non ti dimenticare dello shopping,” disse il fidanzato.
“Beh, non ne sono esattamente sicura. Mia sorella è appena arrivata qui ed io voglio passare del tempo con lei,” disse Mamma.
“Portala con te. Mi piacerebbe incontrarla.”
“Oh, penso che sia troppo occupata ora. Ha un bel po’ di cose in testa.”
“Invece di chiamarla Los Angeles, zia Shirley la chiamava la città degli angeli persi. Capita la battuta? In pratica la odia. Diceva che non ci sarebbe mai andata nemmeno se l’avessero pagata un milione di dollari.”
“Miguel, caro. Finisci i tuoi dim sum,” disse Mamma.
Sapevo che non c’era davvero necessità di dire una cosa del genere al fidanzato di mamma, ma io sapevo anche quanto era importante dire la verità. Forse zia Shirley si sbagliava. Forse c’erano degli aspetti positivi di L.A. e delle persone che ci abitavano. Forse i lati migliori del fidanzato non erano ancora venuti fuori.
“Sharon, sai, avrò bisogno di qualcuno con grande esperienza nel riuscire a mettere insieme presto una raccolta di fondi. Per un grande evento al Beverly Hilton. E sarà legato alla promozione di uno dei miei film che uscirà a breve.”
“Quello sull’assassino delle e-mail?”
“Sì, quello. Pensi che ti potrebbe interessare lavorare per noi?”
“A L.A.? Qual’è la causa? L’evento raccoglierà fondi per…?”
“Non ne sono del tutto sicuro. Qualcosa sull’ AIDS o lo stupro. Una di quelle. Me lo sono dimenticato.”
“Ma, Hunt. Dovrei rimanere là solo per poche settimane? O per pochi mesi? Per quanto tempo?”
“Avremo probabilmente bisogno di te per diversi mesi. Sono sicuro che potrai fare un po’ del lavoro da qui. Avrai la possibilità di conoscere molte celebrità. Un sacco di persone importanti. È un’ottima occasione per entrambi.”
“Beh, non sono così sicura di averne il tempo adesso. Miguel ed io siamo impegnati a progettare la nostra vacanza autunnale. E lui deve rimanere vicino a Stanford per la terapia. In più, Shirley e la sua nuova casa. So che avrà bisogno di me per arredarla. Se davvero hai bisogno di qualcuno adesso, non sono sicura di essere la persona giusta.”
“Perché non porti Mikey giù con te. E, per quanto riguarda tua sorella, penso che tu e lei abbiate probabilmente gusti molto diversi. Mikey, che ne pensi? Come ti senti all’idea di incontrare alcuni dei boss di Hollywood? Tom Cruise? Ben Affleck? Erik Estrada?”
“Wow. Conosci quelle persone?” chiesi.
“Beh, no. Non proprio. Ma conosco persone che li conoscono.”
“Sì. Sarebbe davvero figo. Di sicuro. E Ricky Martin?”
“Certo. Perché no. Sono sicuro che possiamo scovarlo.”
“Mamma, va bene? Possiamo andare? Non ho scuola. E a meno che non mi senta male non devo tornare a Stanford prima di un altro mese.”
Mamma sembrava preoccupata, ma potevo scommettere che era felice di vedermi così elettrizzato per qualcosa. Aveva un ampio sorriso sul viso e le piaceva quando ero davvero contento. So che avrebbe detto di sì, perché se avesse detto di no io sarei stato molto triste. Mamma non era quel tipo di persona che si limitava a dire “Che cavolo?” Lei doveva riflettere molto profondamente prima di dire di sì a qualsiasi cosa.
*****
Finalmente arrivò il quattro luglio, un giorno che il mio papà ed io celebravamo insieme. Mi mancava così tanto. Dopo che lui e Mamma divorziarono due anni fa, lo vedevo solo una volta ogni tanto. Mio padre è di El Salvador, quindi è da qui che viene il mio nome – è spagnolo. Papà lo scelse quando ero neonato, e si arrabbiava così tanto con le persone che non riuscivano a dire Miguelito.
Anche se non lo vedevo molto spesso, Papà mi scriveva continuamente delle lettere. Mi piaceva. La mia mamma diceva sempre che sembrava Ricky Ricardo. Pensavo molto a Papà quando guardavo fuori dalla mia finestra per vedere le navi che oltrepassavano il ponte del Golden Gate e sfociavano nell’oceano. Quando mi sentivo veramente solo, facevo finta di essere su una di quelle navi che andava a El Salvador. E in quel modo potevo fare una sorpresa al mio papà. Ne sarebbe stato sicuramente felice. L’ultima volta che lo vidi fu ad Halloween nel mio appartamento quasi un anno fa, tre giorni dopo il mio dodicesimo compleanno.
*****
Papà aveva molti regali per me quella volta, e venivano tutti da El Salvador. “So che questo ti piacerà,” mi aveva detto il mio papà, “ma dovrai leggere le istruzioni in spagnolo. Nessun problema, giusto?”
“Giusto, Papà. Nessun problema,” risposi.
“Joe, non sono così sicura che parlare spagnolo sia una buona idea. Confonderà Miguel,” aveva detto la mia mamma. Lei chiamava il mio papà “Joe,” ma il suo vero nome è Joaquin. Mamma lo faceva qualche volta, di stravolgere qualsiasi nome dallo spagnolo in americano, così poteva pronunciarlo nel modo giusto.
Papà rivolse uno sguardo strano a Mamma, ma poi mi chiese velocemente, “Allora, intendi aprirli? O cosa?”
“Certo, sì, Papà.” Con le mani che mi ritrovavo, dovetti strappare lentamente la carta per non sgraffiarmi. Ma, quando finalmente strappai via tutto e sollevai il coperchio di quella enorme scatola non ci potei credere. “Oh mio Dio!!! Stai scherzando, Papà? Ho sempre voluto una di queste.” Era una macchina fotografica digitale assolutamente fantastica. Erano una cosa nuova a quel tempo. “Ora posso fotografare tutto, e mandare le foto in tutto il mondo insieme alle mie e-mails. Grazie, Papà. È fighissima.”
“Voglio avere un sacco di foto tue quando mi scrivi, OK? E farai meglio a sorridere nelle foto. Capito?”
Papà sapeva che non mi piaceva sorridere troppo perché l’E.B. mi aveva rovinato i denti in modo abbastanza serio. Erano come macchiati e schifosi. “Certo, Papà. Ti manderò sempre delle foto,” gli avevo detto. Poi mi diressi verso di lui sul divano e lo abbracciai. In qualche modo, lui sapeva esattamente quello che volevo più di ogni altra cosa.
Stavo per chiedergli come usare la macchina fotografica, ma la mia mamma mi interruppe chiedendomi, “Ora, pensi davvero che sarai capace di azionare tutti quei meccanismi complessi? Sembra così complicata. Forse ce n’è una più semplice per te da usare.”
“Cosa, Mamma?”
“Come farai a premere tutti quei pulsanti? Come farai a mettere a fuoco quell’obiettivo? Voglio dire, è una bella macchina fotografica. Ma le tue mani riescono solo a fare tanto così.”
“Ma, Mamma, posso ancora fare una sacco di cose con le mie mani. La farò funzionare. Vedrai.”
“Joe, questa è stata una grande idea. Ma non so davvero se è così pratica.”
Sapevo quasi con certezza che a breve si sarebbe scatenato un litigio, così mi diressi verso una sedia dall’altra parte della stanza, mi sedetti e feci finta di leggere quelle istruzioni in spagnolo.
“Sharon, dai una possibilità al bambino. Fallo provare. Poi, se non funziona, gliene prenderò un’altra.”
“Sto solo cercando di ridurre al minimo le delusioni nella sua vita. Lasciare che si entusiasmi per qualcosa che non sarà mai in grado di utilizzare è rischioso per la sua salute.”
“Credo che più opportunità Miguel ha e più si manterrà in salute.”
“Ma non è solo la salute che mi preoccupa. Sarebbe così imbarazzante per lui. So solo che si sentirebbe a disagio se le altre persone gli guardassero le mani. Capisci, quando cerca di usare la macchina fotografica in pubblico. È solo questo che volevo dire.”
“Sharon, non capisco. Perché non lasci che Miguel viva la sua vita? È un bambino pieno di risorse. Di che cosa hai paura?”
“Beh, non lo so, Joe. Mio Dio, la tua visione rosea del mondo. È solo che non voglio che Miguel alimenti troppo le sue speranze. Sto solo pensando a quello che è meglio per lui. Dovresti fare lo stesso.”
“In nessun modo non lascerò Miguel alimentare le sue speranze. Non lo farò. Miguel sopravvivrà e avrà una vita felice. Ne sono certo!” Il mio papà gridò, picchiando il pugno su uno dei nostri tavoli di vetro. Avevano avuto discussioni di questo tipo in passato, non era una novità per me. Ma questa volta Papà sembrava così determinato, così risoluto, come se avesse una sorta di piano in mente. Tutte le volte che lui veniva a fare una visita era perché Mamma lo invitava. Lei aveva la mia tutela esclusiva, così in pratica Papà non aveva voce in capitolo nella mia vita. Era solo un ospite.
Papà mi guardò seduto dall’altra parte della stanza ed afferrò garbatamente la mia mamma per il braccio. La portò in cucina, così io non potei più sentire niente. Rimasi a sedere sulla sedia, ad osservare il resto dei regali che avevo ricevuto e di cui non mi importava, e pensavo a cosa potessero dire mamma e papà.
Mamma gli avrebbe fatto riprendere la macchina fotografica? Che cosa avrebbe fatto Papà? Forse mi avrebbe rapito e riportato a El Salvador con lui? Lo avrebbe fatto Mamma, così non avrei più potuto vedere Papà? Saremmo dovuti ritornare ancora una volta tutti in tribunale per vedere a chi sarebbe toccata la mia custodia?
Presto tutto tornò tranquillo. Il mio Papà uscì dalla cucina, ma Mamma vi rimase. Papà ed io non affrontammo nessuna delle domande che avevo in testa, così non potemmo nemmeno trattare nessuna delle risposte. Forse non volevo sapere.
Papà ritornò dalla cucina e disse che era arrivato il momento di andare via. Così lui ed io lasciammo l’appartamento, dirigendoci all’ascensore fuori dalla mia porta principale, e là aspettammo.
“Questi ascensori ci mettono un sacco di tempo oggi,” aveva detto il mio papà.
Ero felice che ci mettesse tanto, perché più tempo impiegava ad arrivare al nostro piano, più tempo avevamo da passare insieme. “Sì. Beh, forse qualcuno sta traslocando oggi. Accade spesso.” Salimmo in ascensore e scendemmo nel garage. Ventinove, Ventotto, Ventisette, Ventisei. Ora l’ascensore andava troppo veloce per me.
“El Señor Miguelito, lo sai che un giorno tornerò per te, vero?”
“Davvero? Pensavo che dovessi rimanere a San Salvador per un po’.”Diciannove, Diciotto, Diciassette.
“Miguel, te lo prometto. Non importa quanto ci vorrà, io tornerò per te. In qualche modo troverò la maniera, così potrai vivere con me parte del tempo. In qualsiasi momento avrai bisogno di me, io sarò qui per te, prenditi cura di te…sempre.”
Dopo aver detto ciò, mi strinse la mano e non mi fece male. Sapevo che quello che mi aveva appena detto era vero e speciale. Undici, Dieci, Nove. Poi, un uomo e una donna salirono lentamente all’ottavo piano. Erano travestiti da Regis e Kelly. Ed entrambi portavano dei microfoni, cosa abbastanza stupida dal momento che nel loro programma televisivo non lo facevano mai veramente. L’uomo-Regis non riusciva a smettere di guardarmi. Era un po’ ubriaco o fatto e disse, “Quel costume è parecchio fuori moda, ragazzo. Sembra che tu sia venuto fuori direttamente da un film di Frankenstein.”
“No. Non Frankenstein, piuttosto The Mummy,” disse la donna-Kelly all’uomo-Regis, anche lei un po’ fatta.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, mio padre mi guardò e fece roteare gli occhi. Lo sguardo che mi rivolse cancellò immediatamente quello che l’uomo e la donna avevano appena detto. Ho sentito cose del genere così tante volte in passato, sul fatto di assomigliare a una mummia, ma mio padre non era mai nei paraggi a risolvere la situazione.
“Mio figlio porta queste bende ogni singolo giorno della sua vita. E all’età di dodici anni ha imparato più di quanto voi saprete mai in tutta la vostra vita. È il numero uno.” Atrio.
“Ehi…guardi, signore. Non ne avevo idea,” disse l’uomo a mio padre con un’espressione un po’ stupida. Poi mi disse, “Mi dispiace, ragazzo. Non lo sapevo.”
“Tutto OK. Succede sempre.” Le porte dell’ascensore si aprirono, le due persone uscirono, poi le porte si richiusero velocemente. Garage 1, Garage 2, Garage 3. Papà ed io ci incamminammo verso la sua auto a noleggio senza dire una parola.
Quando arrivammo rimanemmo là e Papà parlò per primo, “Per tutto il resto della mia vita non sarò mai così orgoglioso di te come lo sono adesso. Mi sbalordisci.”
“Che vuoi dire, Papà?”
“Non ci sarà mai al mondo un altro ragazzo ad avere quello che hai tu. Ricordati sempre quanto sei speciale. Ricordalo tutti i giorni. Ricordami di dirtelo. Sei davvero un bravo ragazzo, Miguel. Il rispetto che mostri per le altre persone è incredibile. Sei straordinario. So che hai la capacità di far star bene te stesso. Ne sono sicuro.”
“Io ne sono capace?”
“Sciocchino. Certo che lo sei, lo sai. E continuerò a scriverti, e aspetterò anche le tue risposte. Risposte con le foto fatte con la tua nuova macchina fotografica.”
“OK. Lo farò, Papà. Ti scriverò, e ti manderò di sicuro delle fotografie. Ma quando ti rivedrò ancora?”
“Presto, spero. E penserò sempre a te. Ti voglio bene, Miguelito,” disse Papà, mentre mi abbracciava abbastanza forte da sentirlo, ma non abbastanza da farmi male. Vedevo che cercava di non piangere, ma sapevo che lo stava facendo. Entrò nella sua auto e così feci anch’io.
Mi dette un passaggio fino agli ascensori, ed io dissi, “Ti voglio bene anch’io, Papà. E grazie per tutti i regali fantastici. Soprattutto per la macchina fotografica.”
“Ciao, mio Miguel,” disse Papà dopo aver fermato l’auto. Scendemmo entrambi e ci abbracciammo.
Appena prima che Papà salisse sulla sua macchina disse, “Ar-riv-e-der-ci,” ma io non riuscii a vedere il suo viso. Mentre salivo sull’ascensore mi voltai, premetti Trenta, e mentre le porte si stavano chiudendo vidi Papà dire, “S-t-a-i…b-e-n-e,” attraverso il finestrino dell’auto.
Non ero sicuro del perché lo avesse detto in quel momento, ma scossi la testa per dire “OK.”
*****
Passarono molti mesi prima di rivederlo ancora.